Ray Bradbury e l’inesauribile fiamma della cultura

Si dice che ogni forma d’arte rappresenti l’eredità culturale di colui che l’ha creata. Indistintamente che sia realizzata con del colore su una tela, inchiostro su pagine o sculture marmoree e tante altre. Tra le molte, esiste una storia che è maggiormente rappresentativa di questo particolare lascito per l’umanità. Un racconto senza tempo, quello di Ray Bradbury.
Le radici di un innovatore fantascientifico

Ray Douglas Bradbury nasce nel 1920 negli Stati Uniti, quando il boom del primo dopoguerra permette uno sviluppo senza precedenti della cosiddetta cultura di massa, in particolare con la radio e la televisione. L’infanzia di Bradbury è spensierata, e accompagnata soprattutto dal primo medium che lo affascina. Nel 1934 la Grande Depressione costringe la sua famiglia a trasferirsi in California, dove il giovanissimo Ray conosce quel modo che è destinato a rivoluzionare.

Gli anni Quaranta rappresentano l’ascesa del genere fantascientifico, un locus dove poter immaginare l’impossibile, e renderlo realtà. Spesso lo spazio extraterrestre viene rappresentato come frontiera da superare e indagare, in cui si muovono personaggi all’avanguardia, diversi, “l’altro da sé”. Bradbury è ammaliato dalle possibilità di questo mondo, e comincia a pubblicare dei racconti che si circoscrivono in questo genere, oltre ad altri che seguono la tipologia poliziesca e noir.

Non a caso l’autore, fin da bambino, era stato a stretto contatto con il mondo della magia, della fantascienza e persino dell’horror, un bagaglio importantissimo che scandirà tutta la sua produzione letteraria, e che contribuirà nella sua personale innovazione culturale attraverso il racconto distopico. Da questi temi nascono Hollerbochen’s Dilemma (1938), Pendulum (1941) e The Martian Chronicles (1950), quest’ultimo considerato il suo capolavoro insieme al successivo Fahrenheit 451.

L’essenza di Bradbury, scrittore e uomo, risiede nella sua fantasiosa poliedricità fortemente decisa nel voler superare le “colonne d’Ercole” della realtà. La sua diversificazione contenutistica è tenuta insieme dal suo stile inimitabile, che si riflette anche nella sua sceneggiatura cinematografica. Apparentemente asciutta ma molto decisa e trasparente, la sua scrittura permette alla narrazione di progredire attraverso degli elementi che, apparentemente scarni, si rivelano essere essenziali per la comprensione della realtà.

Fahrenheit 451

Fahrenheit 451 è probabilmente l’opera maestra di Ray Bradbury, pubblicata nel 1953 negli Stati Uniti. Racconto distopico, è ambientato in un futuro (non tanto) lontano in cui leggere, o anche solo possedere, dei libri è considerato il peggiore dei reati. I libri sono i veri nemici dell’umanità, oggetti pericolosi che solo i pompieri possono ostacolare.

Nel futuro immaginato dall’autore, difatti i pompieri bruciano i libri, dovendo preservare un certo tipo di cultura e ostacolando in ogni modo la conoscenza. Guy Mustag, il protagonista, è uno di loro. “La milizia del fuoco”, così chiamata nel romanzo, arriva anche a bruciare intere case se appartenenti a qualcuno che possiede dei libri e che decide di proteggerli a costo della propria vita. Mustang, all’inizio della storia, è fermamente convinto del suo ruolo e dell’ideologia che ne è alla base.

Il suo modo di vedere il mondo, però, cambia quando assiste al sacrificio di una donna in nome di quegli oggetti di carta che tanto spaventano la società. Guy Mustag, per la prima volta nella sua vita, si domanda che cosa si celi all’interno dei libri, la curiosità lo porta a salvarne alcuni e infine leggerli. Sua moglie, Mildred, un’accanita sostenitrice della televisione e della radio, si accorge del grande cambiamento del marito e lo denuncia. Da quel momento, Mustag diventa un ricercato costantemente inseguito da un “segugio meccanico”, infallibile macchina che ha il compito di scovare i colpevoli. Ha inizio così il vero viaggio del protagonista, alla ricerca di sé stesso e di un mondo diverso, così come del modo di poter salvare la società in cui vive.

Un libro è una pistola carica

L’importanza di Fahrenheit 451 risiede nelle diverse chiavi di lettura che ne derivano, dalle accezioni storiche e persino filosofiche, ma anche dalla forte critica alla realtà contemporanea che non ha tempo o scadenza. Bradbury scrive l’opera all’inizio degli anni Cinquanta quando una serie di amare verità hanno sconvolto il mondo, rendendolo molto più arido nelle sue profondità. Scernendo i risvolti della lettura di questo romanzo, si possono raggiungere le fondamenta, le radici della conoscenza del mondo che si sono sviluppate nel corso della Storia, così come nella più piccola storia di questo racconto. Ma come ogni cosa, ci sono delle ombre che la circondano, che inevitabilmente richiamano un certo tipo di approccio interrogativo. “Ci si domanda il perché di tante cose, ma guai a continuare: si rischia di condannarsi all’infelicità”.

Partiamo dall’inizio, ricorrendo all’etimologia di due parole: cultura e libro. Il primo termine deriva dal latino colĕre e significa coltivare, mentre il secondo da liber. Quest’ultimo in particolare, tra le diverse accezioni, si riferisce alla parte interna dell’albero, quelle lamine che vengono trasformate in fogli dove poter scrivere. Secondo tale accezione, è molto interessante riflette sul profondo legame tra i suddetti termini: la possibilità di poter coltivare e far crescere qualsiasi cosa, finanche gli alberi, attraverso la conoscenza.

La conoscenza, e non la superbia. “So di non sapere” suggeriva Socrate nell’Antica Grecia, e non molto distante da lui un altro filosofo greco, teorizzando l’essenza del mondo, sosteneva come nelle sue fondamenta ci fosse il fuoco. “La metafora del fuoco” secondo Eraclito, un’entità che mutando continuamente resta sempre uguale. Quello stesso elemento che ha rappresentato protezione e vita nell’antichità, e ben presto divenuto antagonista di ciò che viene impresso su carta. Basti pensare alla distruzione della Biblioteca di Alessandria, considerato il più importante polo culturale del mondo antico. “Fahrenheit 451” è la temperatura alla quale un libro comincia a bruciare, il numero che si trova sul caschetto del protagonista. Si tratta della scintilla che dà inizio al processo irreversibile che porta inevitabilmente alla scomparsa di qualcosa. “Chi non crea non può fare a meno di distruggere. È una cosa antica come la storia” si legge nel romanzo di Bradbury. Si tratta di una verità che l’autore, e il mondo stesso, vivono in prima persona e le cui conseguenze intellettuali vengono disseminate all’interno di questo racconto.

Ogni cambiamento presuppone una trasformazione che varia la velocità e le sue conseguenze a seconda del contesto in cui si svolge. I mutamenti si dirigono verso direzioni ben precise, lasciando inevitabilmente dietro di sé qualcos’altro. Nel corso della Storia è aumentata la rapidità con cui le variazioni del mondo si concretizzano, tanto da rendere la velocità stessa una delle minacce contemporanee. Guy Mustag vive in una società che scandisce la sua esistenza esclusivamente attraverso i nuovi media, la radio ma soprattutto la televisione. Attraverso di loro, l’informazione è molto più veloce, ma molto meno profonda. La visione è immediata, allo spettatore non è richiesto alcun tipo di sforzo profondo. Questi aspetti, e la sua importanza rivoluzionaria nella società dei consumi, hanno reso la televisione un elemento imprescindibile della quotidianità. Da questo si può desumere la perdita di punti di riferimento del singolo, il timore che la novità non sia così luminosa, come mostrato dalle nuove pubblicità.

Nel mondo dell’altro da sé

L’autore non fa alcuna fatica ad immaginare una realtà distopica in cui ambientare le vicende di una cultura morente. Bradbury, difatti, si basa su avvenimenti storici molto vicini al momento in cui scrive. Non a caso la distopia è la rappresentazione di una realtà futura, possibilmente prevedibile in base alle vicissitudini e attitudini del presente. Perché in Fahrenheit 451 i libri vengono bruciati?

Dove arde il libro, in fin si abbrucia l’uomo” scriveva Heinrich Heine all’inizio dell’Ottocento, e le sue parole sono tristemente premonitrici di quello che avverrà poco più di un secolo dopo, nella Germania degli anni Trenta: i Bücherverbrennungen, roghi di libri voluti dal governo nazista. Uno dei primi organizzato a Dresda l’8 marzo, seguito da Braunschweig, Würzburg, Heidelberg e Kaiserslautern, Münster, Lipsia e Wuppertal il primo aprile. L’11 dello stesso mese uno dei più grandi avviene proprio a Düsseldorf, la città natale del poeta Heine. È il poi il turno di Schleswig, Monaco di Baviera, Rosenheim e Coburgo. Il maggiore è quello di Berlino, del 10 maggio, dove vengono dati in pasto alle fiamme oltre 25mila libri nella Opernplatz, la grande Piazza dell’Opera nel quartiere Mitte, dove oggi c’è una targa con sopra incise le parole di Heine e sotto la superficie, una biblioteca piena di scaffali vuoti.

La paura della cultura, della diversità, per la Germania nazista era rappresentata da qualsiasi elemento che non fosse in linea con l’ideologia vigente, ma anche per “rimuovere la corruzione giudaica dalla letteratura tedesca” (Rose Jhonathan, The Holocaust and the Book. Destruction and Preservation, 2001). Il racconto fa riferimento anche a qualsiasi forma di oppressione della libertà di pensiero. La critica si rivolge al sokrealism (in russo, сокреализм) l’abbreviazione del Realismo Socialista dell’allora Unione Sovietica, il movimento artistico e culturale che dal 1934 diventa l’esclusiva forma intellettuale accettata da parte del governo.

Per Bradbury non rimane che trasformare la sua inquietudine nei confronti del prossimo futuro in un racconto distopico, dilatando quegli stessi sentimenti talmente tanto, da far apparire la sua storia come apparentemente molto lontana. Eppure, leggendo tra le righe e accettando le numerose ombre che si annidano attorno a noi, ogni elemento del romanzo può essere ritrovato nella nostra realtà. Un esempio di quanto scritto, è una foto apparsa nel primo periodo del conflitto russo ucraino, che ritraeva dei libri bruciati. La velocità della disinformazione, la paura dell’altro, il sentimento della guerra, sono stati i complici nel rendere veritiera tale notizia, trattandosi invece di una fake news, risalente al 2010.

Capite ora perché i libri sono odiati e temuti? Perché rivelano i pori sulla faccia della vita. La gente comoda vuole soltanto facce di luna piena, di cera, facce senza pori, senza peli, inespressive”. La libertà dell’espressione del sé, tangibile, nel mondo in cui si vive è la miglior forma d’esistenza. Esistono culture mediocri, che non avvicinano alla conoscenza, piuttosto allontanano e limitano il singolo che detiene il grande potere di decidere se salvare un libro o rinnegarlo a un destino atroce. Si può trasformare quella stessa fiamma in un motore inesauribile che si prenda cura della grande eredità culturale che abbiamo, e che un giorno dovremo tramandare. L’albero della cultura ha moltissimi rami, che possono essere osservati da tante angolature diverse, scoprendo ogni volta qualcosa di nuovo. Se questo però viene minacciato o abbattuto, con cosa l’uomo otterrà ossigeno?

a cura di Sara Gasperini

In foto: Ray Bradbury